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Il mercato residenziale dal 2006 all'era del covid.

16/02/2021 - News

Com’è cambiato il mercato immobiliare dal 2006 ad oggi, era del covid?

Le abitazioni italiane, successivamente alla crisi dei sistemi finanziari provocata dal crollo delle Torri Gemelle e dal nostro ingresso nell’eurozona, hanno visto realizzare nel 2006 più di 845.000 compravendite.

Questi risultati perdureranno fino al 2° semestre del 2007, dopodiché assisteremo, anno dopo anno, ad un importante calo del numero di transazioni immobiliari, a causa della stretta creditizia generata dalla crisi americana sui mutui subprime (che renderà le banche più oculate nella concessione dei finanziamenti in genere), e della paura per il futuro lavorativo generata dal fallimento, dalla chiusura o dall’espatrio di tante grandi aziende che hanno lasciato in giro per l’Italia disoccupazione e sgomento.

L’anno 2012 ha segnato, una vera e propria battuta d’arresto del mercato immobiliare, tanto che l’anno 2013 si concluderà con poco più di 403.000 transazioni (meno della metà rispetto all’anno 2006).

Una timida ripresa si comincerà a vedere dal 2014, grazie ad un lieve miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro e ad una maggior disponibilità degli istituti di credito ad erogare mutui, che permetteranno la realizzazione di oltre 540.000 transazioni immobiliari nell’anno 2017, circa lo stesso volume nel 2018 e qualche migliaio in più nel 2019.

Poi arriva il coronavirus, che mette in discussione il lavoro fatto in precedenza , causando il rallentamento di un mercato sofferente e di difficile interpretazione già prima del suo ingresso in Italia e nel mondo.

Nonostante tutto, la casa di proprietà rimane ancora oggi un pensiero ricorrente nella testa degli italiani, ma non viene più percepita come una priorità, perché, rispetto al passato, sono cambiate in maniera piuttosto significativa le dinamiche lavorative e le esigenze della famiglia.

Tra i primi anni del 1950 e tutto il 1960,  l’Italia vede una vera e propria ricostruzione del tessuto sociale, economico e produttivo.

La forte crescita ed il conseguente senso di benessere che ne era conseguito, comportava poche e precise priorità: un posto fisso, una famiglia, una casa da comprare o da costruire, dei figli da far crescere, da sistemare lavorativamente, da far sposare, e ai quali comprare o costruire una casa. 

Era il periodo del “boom economico”, l’Italia si apprestava a diventare una delle più grandi potenze industriali al mondo, le speranze per un futuro brillante non mancavano e, di conseguenza, non ci si preoccupava oltre il dovuto della rata del mutuo, delle tasse o delle imposte sull’acquisto, delle spese di ristrutturazione o delle provvigioni da dare al “sensale”.

Bei tempi, non credete?

Oggi, purtroppo , e ormai da 30 anni ed oltre, la precarietà lavorativa ci obbliga a spostarci spesso e con poco preavviso per mantenere il proprio posto di lavoro, c’è sempre meno tempo e voglia di crearsi una famiglia e, tantomeno, di avere dei figli ed un mutuo.

Per queste ragioni, una buona parte di chi vorrebbe comprare, nonostante la riduzione dell’imposta sull’acquisto prima casa al 2%, oppure i tassi molto convenienti sui mutui rispetto agli anni passati, preferisce sempre di più l’affitto, perché comporta minori responsabilità e dà la possibilità di cambiare rapidamente ogni qualvolta le esigenze lo impongono o lo suggeriscono.

Coloro che hanno comprato nel periodo 2006/2008 sono stati testimoni e vittime di una progressiva diminuzione dei valori delle compravendite immobiliari, che ha portato, soprattutto nel periodo 2013/2014, a praticare sconti  anche superiori al 20% rispetto al prezzo al quale hanno acquistato anni prima.

Prima dell’emergenza covid, grazie ad una timida ripresa di mercato, la scontistica  si era ridotta intorno al 15%, ma rimaneva pur sempre un duro colpo da assorbire.

Quello che rende oggi ancor più complesso il processo di vendita è l’incertezza del domani (condizione che oramai viviamo da molto prima del covid), accompagnato da una sofferenza economica di una fetta sempre più larga di popolazione.

Ciò comporta inevitabilmente uno slittamento nei processi decisionali d’acquisto, che si traduce, a sua volta, in un ulteriore calo dei prezzi  e del volume di compravendite.

Pertanto, vista questa perdurante realtà del mercato, almeno quelli che possono aspettare (cioè coloro che sono disposti a vendere, ma solo alle loro condizioni), temporeggiano e confidano in una ripresa dei prezzi che non vedono mai arrivare, mentre quelli che hanno davvero bisogno di vendere, confidano nel fatto che, ricomprando, gli sarà riservato lo stesso trattamento che hanno concesso ai loro acquirenti vendendogli la propria casa.

Siamo ancora nel periodo del “vendi male/compri bene”, ma, nel gioco dei ruoli non tutti ci stanno, soprattutto i venditori che non devono ricomprare.

Cosicché questi ultimi, o almeno quelli meno motivati alla vendita ad ogni costo, applicano una politica tutta personale del tipo “se non mi danno quello che voglio, me la tengo”, oppure “so che vale quello che chiedo ma la gente non ha soldi”, incuranti del fatto che le logiche di mercato sono diverse e non ascoltano le loro ragioni. 

Stiamo a vedere cosa ci riserverà il futuro, ed auguriamoci che faremo tesoro di questa tragica esperienza per rimboccarci le maniche e crescere insieme.

 

 

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